Il falso mito delle proteine animali

Categoria : Nutrizione

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Correva l’anno 1914 quando fu eseguito il primo esperimento sul fabbisogno proteico, analizzando le richieste di ratti di laboratorio. I ricercatori determinarono le quantità di proteine necessarie alla crescita dei giovani ratti e applicarono questi valori all’uomo [1]. Paradossalmente, applicando questo criterio, il latte umano non risulterebbe essere un alimento sufficiente per i nostri neonati!
E’ facilmente intuibile che ratti e umani possano avere ben diverse esigenze e richieste nutrizionali [2]: i piccoli ratti crescono ad una velocità maggiore dei neonati umani e di conseguenza richiedono una fonte più concentrata di proteine e nutrienti per sostenere quel ritmo di crescita per loro naturale. Il latte dei ratti è costituito dal 20% di proteine, mentre quello umano ne contiene solo il 7%. Ciò significa che se nutrissimo i ratti col latte umano, esso non riuscirebbe a soddisfare il fabbisogno necessario per la crescita dei piccoli dell’animale.
Grazie a questi e altri pionieristici esperimenti, spesso condotti senza quel rigore che permette di pervenire a conclusioni affidabili, sono pervenuti fino ai nostri giorni, sopravvivendo all’evidenza scientifica, alcuni retaggi sulle proteine, ancora largamente utilizzati da molti divulgatori contrari alla nutrizione vegetariana.
Uno di questi è il PER (Protein Efficiency Ratio), che indica la capacità di un alimento di favorire un aumento ponderale veloce. Si tratta del parametro più inutile e inaffidabile che sia mai stato utilizzato nella scienza della nutrizione. Che il latte di mucca sia l’alimento che favorisce la crescita più veloce nei bambini, ad esempio, non significa che esso sia un alimento di alta qualità, ma solo che la sua composizione di nutrienti, completamente differente da quella del latte umano, non è adatta alla crescita ideale dell’uomo (N.B. dove ideale non vuol dire la più veloce!). Il latte vaccino è adatto invece a favorire la crescita del vitello, il cui peso alla nascita raddoppia con una velocità quasi quadrupla rispetto a quella dell’uomo!
Oggi il PER e altri parametri, come il valore biologico di una proteina (che assume come valore di riferimento quello dell’albume d’uovo), sono giudicati inadeguati da quasi tutte le Associazioni e gli esperti che operano nel campo della nutrizione. La convinzione -errata- che tutti gli aminoacidi essenziali debbano essere presenti nello stesso pasto per essere assorbiti e utilizzati dall’organismo umano è un altro esempio di nozione obsoleta che non è mai stata dimostrata con metodi scientifici.
Ma cos’è un aminoacido essenziale? Teoricamente è un aminoacido che il nostro organismo non è in grado di sintetizzare autonomamente in quantità adeguate a partire da un precursore, e che deve essergli quindi fornito prevalentemente dal cibo. Ad esempio, l’aminoacido metionina, considerato essenziale nell’uomo, viene sintetizzato a partire dalla cisteina (aminoacido non-essenziale). Ma mentre il tasso di conversione nei ratti è insufficiente, essendo soltanto del 17% , uno studio condotto nel 1955 ha dimostrato che nell’uomo e di gran lunga superiore, ben l’80-89% [3]. Sarà quindi davvero la metionina un aminoacido essenziale anche per l’uomo, o lo è solo per il ratto?
Il concetto della complementazione delle proteine, e cioè la presunta indispensabilità di combinare, assumendo contemporaneamente e secondo proporzioni prestabilite, alimenti vegetali “incompleti” diversi per ottenere una proteina simile a quella animale “completa”, nacque e fu promosso da Frances More Lappe, nel 1961, che all’epoca voleva dimostrare come fosse possibile ottenere proteine di alto “valore biologico” con una alimentazione vegetariana. La pratica di abbinare cereali e legumi venne velocemente adottata, soprattutto dai vegetariani, e fu questa forse una delle principali cause del suo successo. In seguito, è stata proprio la stessa Autrice a smentire categoricamente la propria precedente conclusione, nella sua revisione del libro “Diet for a small planet”: sebbene il suo intento fosse stato quello di sfatare un mito, l’autrice ammette di averne involontariamente creato un altro, concludendo che, alla luce di nuovi studi e ricerche, non è assolutamente necessario combinare alimenti vegetali diversi [4].
Oggi ancora in troppi, vegetariani e non, parlano di proteine complete e incomplete, creando una distinzione tra regno animale e regno vegetale, e andando completamente fuori strada. Una proteina è completa quando il suo profilo di aminoacidi non è più basso di quello ideale per l’uomo: ciò è stabilito dalla World Health Organization (WHO) e confermato dai più importanti centri di ricerca, come il Max Planck Institute, all’avanguardia nella ricerca sulla nutrizione. Ne deriva che il 94% dei frutti (sono esclusi ad esempio papaya, pera, prugna) e che quasi il 100% dei vegetali (con poche eccezioni, come il mais) forniscono proteine complete. Inoltre, decenni di ricerche e studi epidemiologici hanno dimostrato, e continuano a dimostrare, come le proteine vegetali siano anzi di più alta “qualità” per l’uomo, perché si discostano meno, rispetto a quelle animali, da quello che è il profilo aminoacidico ideale; le proteine della carne, ad esempio sono troppo ricche in zolfo -con le ben note conseguenze a lungo termine sulla salute dell’osso, e di Isoleucina, il cui eccesso tende a produrre troppa ammoniaca (NH3) all’interno dell’organismo.
In seguito ad affermazioni e posizioni poco convincenti ma che si stavano affermando nei decenni scorsi, furono condotti alcuni studi che confermano senza ombra di dubbio quanto appena esposto: che cioè non solo le proteine vegetali sono complete, ma che sostenere la necessità di aggiungere prodotti animali alla dieta dell’uomo è affermazione priva di fondamento scientifico.
In un primo esperimento condotto su volontari umani [5], vennero valutati gli effetti di un regime dietetico la cui fonte proteica era costituita da alimenti vegetali quali il grano, mais, fagioli e riso. Dopo 110 giorni i partecipanti all’esperimento presentavano tutti un bilancio azotato positivo, il che significa che le proteine assunte erano sufficienti per le necessità dell’organismo, che non aveva dovuto “intaccare” i propri depositi proteici. Latte e formaggio vennero aggiunti alla dieta di metà dei soggetti del gruppo per verificare se l’integrazione con altre fonti proteiche fosse necessaria. Il risultato fu che nei soggetti alla cui dieta erano stati aggiunti latte e formaggio non presentavano alcun cambiamento significativo nel bilancio azotato: le conclusioni dei ricercatori furono quindi che le sole proteine di alimenti vegetali si erano dimostrate in grado di fornire tutti gli aminoacidi e nella corretta quantità necessaria per soddisfare le richieste proteiche dei soggetti studiati.
Un’ulteriore ricerca condotta nel 1971 confermò che le proteine del grano erano in grado di mantenere positivo il bilancio azotato dei soggetti esaminati [6]. L’aggiunta di uova dopo 200 giorni di una dieta a base di sole proteine vegetali, a metà del gruppo, si rilevò totalmente indifferente nel migliorare il bilancio azotato di questi soggetti. Ciò permise di concludere che una dieta a base esclusiva di proteine vegetali era perfettamente in grado di garantire la positività del bilancio azotato e che l’aggiunta di proteine animali a questa dieta non appariva aggiungere alcun vantaggio.
In un altro studio clinico venne analizzato l’effetto di un regime dietetico a base esclusiva di proteine di frutta e verdura quali banane, mango, avocado, pomodori e carambola. La quantità di proteine assunta era di 24 g al giorno, e dopo 79 giorni tutti i partecipanti presentavano un bilancio azotato positivo e godevano di ottima salute [7]! A questo punto venne aggiunto fegato e carne alla dieta di metà del gruppo, che non comportarono alcuna modificazione del bilancio azotato dei partecipanti. Ancora una volta le proteine vegetali si erano confermate adatte a fornire la quantità necessaria di aminoacidi, e l’aggiunta di carne non aveva apportato ulteriori vantaggi nutrizionali rispetto alle proteine vegetali. Il solo riso è risultato in grado di fornire da 2 a 4.5 volte le quantità raccomandate dalla WHO di tutti gli aminoacidi essenziali (N.B: in studi precedenti condotti sui ratti la somministrazione di solo riso non si era dimostrata in grado di garantire una crescita normale dell’animale).
Il motivo per cui è inutile combinare le proteine all’interno dello stesso pasto è che l’organismo è perfettamente in grado di riutilizzare gli aminoacidi delle proteine “incomplete” ottenendo da questi proteine complete attraverso un meccanismo di “riciclaggio” delle riserve endogene di aminoacidi liberi (il cosiddetto “pool aminoacidico”). Infatti, come dimostrato dal National Research Council, gli aminoacidi che consumiamo a pranzo vanno a finire, assieme a quelli consumati a cena, nel pool aminoacidico, cosicché una qualsiasi carenza di un aminoacido (che può essere causata solo dal consumo di uno dei pochi cibi vegetali incompleti) viene compensata dagli altri cibi assunti durante la giornata. I tempi di permanenza nel deposito variano a seconda degli aminoacidi: ad esempio, la lisina arriva a 15 giorni di permanenza nel pool senza bisogno di essere rinnovata.
Non esiste nessuna motivo scientificamente dimostrato per cui sia necessario, in una alimentazione priva di prodotti animali, combinare diversi elementi vegetali per ottenere proteine complete (una carenza proteica si potrebbe realizzare solo nel caso in cui una dieta fosse composta esclusivamente e per lungo periodo da solo mais, o da quel 6% di frutti il cui profilo aminoacidico è più basso di quello ideale, ma è chiaramente una situazione estrema ed inconcepibile in condizioni di disponibilità adeguata di risorse alimentari vegetali).
Molti sostenitori del mito del valore biologico delle proteine continuano a portare come prova della loro indifendibile tesi, il dato che nei Paesi poveri la malnutrizione esiste perché non vengono consumati carne e prodotti animali (il famoso “gap proteico”); questi signori dovrebbero piuttosto preoccuparsi di riconoscere ciò che invece è noto e dimostrato da anni, e cioè che la malnutrizione nei Paesi poveri deriva semplicemente dalla carenza di risorse alimentari che è responsabile dell’impossibilità di soddisfare il fabbisogno calorico.
Le proteine non sono un problema purché venga rispettato il fabbisogno energetico. Il China Project [8], uno dei più grandi e accreditati studi epidemiologici, iniziato nel 1983, ha dimostrato come, benché il riso sia un alimento completo, un insufficiente apporto di calorie sia risultato in grado di provocare nella popolazione cinese una statura bassa rallentandone la crescita. Da quando la popolazione cinese ha potuto introdurre una quantità maggiore di cibi vegetali nella propria dieta, è stato da subito osservato un netto incremento nella statura media, seguito dalla progressiva scomparsa dei sintomi da malnutrizione. In molti Paesi la malnutrizione si spiega semplicemente perché le risorse alimentari insufficienti costringono la popolazione o ad un insufficiente apporto energetico, oppure all’assunzione di mono-diete basate praticamente su uno dei pochi cereali che non soddisfa il profilo aminoacidico ideale per l’uomo, che è appunto il mais, mancando la possibilità di introdurre alimenti come legumi, altri cereali, frutta e verdura.
Tutti i lavori scientifici più recenti condotti sulle diete latto-ovo-vegetariane e vegane ritengono ormai obsoleta la necessità di combinare le proteine, al punto che questa pratica spesso non è più nemmeno menzionata da associazioni, di ogni tipo, che operano nel campo dell’alimentazione umana. Anche nella posizione ufficiale dell’American Dietetic Association si legge “A condizione che vengano consumati gli alimenti vegetali in modo variato e che venga soddisfatto il fabbisogno energetico, le proteine vegetali sono perfettamente in grado di soddisfare i fabbisogni nutrizionali. La ricerca indica che una varietà di cibi vegetali assunti nel corso della giornata è in grado di fornire tutti gli aminoacidi essenziali ed assicurare l’assunzione e l’utilizzo di azoto negli adulti sani, indicando che le proteine complementari non debbano necessariamente essere consumate all’interno dello stesso pasto” [9].
Ora che l’argomento “qualità” è stato affrontato, resta da rassicurare brevemente chi sceglie di escludere del tutto i prodotti animali riguardo l’argomento “quantità” (per maggiori informazioni, invito a consultare i numerosi documenti ed articoli sul sito di Società Scientifica di Nutrizione Vegetariana, www.scienzavegetariana.it.
Le prime raccomandazioni ufficiali sulle proteine, basate sempre sugli studi sui ratti prima menzionati, arrivavano a consigliare 200 g e oltre di proteine al giorno, che oggi rappresenta purtroppo la quantità media di una dieta standard occidentale. Attualmente, dopo decenni di studi e ricerche, la maggioranza delle organizzazioni internazionali di nutrizionisti sono concordi nell’aver stabilito che l’introito di proteine, in una qualunque dieta vegetariana equilibrata, dovrebbe rappresentare il 10% circa delle calorie totali della dieta stessa.
Una dieta che preveda il consumo di frutta, verdure, cereali, legumi, frutta secca e semi supera senza nessun accorgimento particolare, se non quello di consumare le calorie necessarie al proprio fabbisogno energetico, questa percentuale. Basti pensare che il mondo vegetale fornisce dal 6-10% (frutta) al 40-50% (verdure a foglia) di proteine, oltre a tante altre importanti sostanze come vitamine, antiossidanti e minerali.
Che il consumo della carne sia “necessario” è un mito da sfatare nel mondo “normale”, ma nel mondo “vegetariano” ancora non si è sfatato il mito che uova e formaggio vadano consumati in grandi quantità, in quanto fonte di proteine ad alto valore biologico. Questa convinzione ha infatti conseguenze negative sulla salute, portando come risultato a una dieta più ricca di grassi di quelle standard, compromettendo così i vantaggi per salute insiti in una dieta vegetariana equilibrata.
Le proteine dei cereali, dei legumi e della frutta secca, della verdura e della frutta, sono in grado di fornire le richieste proteiche di qualunque organismo, a qualsiasi età, con qualsiasi tipo di attività fisica, da sedentari a sportivi professionisti, e sono abbondantemente contenute in questi alimenti, ricchi di molte altre sostanze fondamentali per la crescita e il mantenimento fisico e della salute dell’uomo.
Bibliografia
[1] Osborn. T “Amino acids in nutrition and growth”. Journal of biological chemistry 17:325 1914
[2] Vaghefi, S.B., Makdani, D.D. and Mickelsen, O. (1974). ‘Lysine supplementation of wheat proteins, a review’, Am. J. Clin. Nutr. 27, 1231-1246.
[3] Rose, W.C. and Wixom, R.L. (1955). ‘The amino acid requirements of man. XIII The sparing effect of cystine on methionine requirement’, J.Biol. Chem., 216, 763-773.
[4] Lappe, F.M. (1976). Diet for a small planet. New York, Ballantine Books.
[5] Clark, H.E., Malzer, J.L., Onderka, H.M., Howe, J.M. and Moon, W. (1973). ‘Nitrogen balances of adult human subjects fed combinations of wheat, beans, corn, milk, and rice’, Am. J. Clin. Nutr., 26, 702-706.
[6] Edwards, C.H., Booker, L.K., Rumph, C.H., Wright, W.G. and Ganapathy, S.N. (1971). ‘Utilisation of wheat by adult man; nitrogen metabolism, plasma amino acids and lipids’, Am. J. Clin. Nutr., 24, 181-193.
[7] Lee, C., Howe, J.M., Carlson, K. and Clark, H.E. (1971). ‘Nitrogen retention of young men fed rice with or without supplementary chicken’, Am. J. Clin. Nutr., 24, 318-323
[8] http://www.nutrition.cornell.edu/ChinaProject/
[9] ADA Reports. Posizione dell’American Dietetic Association e dei Dietitians of Canada: Diete Vegetariane. J Am Diet Assoc. 2003;103: 748-765, traduzione italiana pubblicata on-line, ©SSNV 2003. http://www.scienzavegetariana.it/nutrizione/ADA_ital.htm (accesso 05.03.2005).
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[Stefano “Fox_Mulder” Esposito – pubblicato anche su ssnv.it]

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