Adesso sappiamo cosa significa Apple. Anche Steve Jobs è vegetariano

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Alla Apple chiamano periodi come questi «fast forward», avanti tutta, come quando tieni premuto il pulsante dell’iPod. Il problema è che quando a schiacciare il pulsante è Steve Jobs ad accelerare non è una canzone ma un’azienda. E la Apple si prepara a destabilizzare anche il cinema, dopo avere conquistato il campo della musica. Mentre al marketing si mette a punto una nuova campagna pubblicitaria, gli avvocati dell’azienda negoziano accordi con le major cinematografiche per convincerli a distribuire in versione digitale i loro film su iTunes, il negozio online dove si comprano già canzoni e programmi tv. Intanto gli ingegneri lavorano con Jonathan Ive, designer della Apple, a un nuovo iPod che secondo le indiscrezioni avrà uno schermo più grande, almeno 10 centimetri di lato, pur mantenendo le dimensioni dell’ultima versione del lettore digitale lanciato a ottobre.
Pochi mesi dopo, già un altro iPod? Non ci sarebbe da stupirsi: avere sconvolto le leggi che regolano il ciclo del prodotto è solo una delle ragioni per cui non esiste al mondo un’altra azienda come la Apple, che il 1° aprile festeggia i 30 anni. Fu nel 1976 che Steve Jobs e il suo amico Steve Wozniak fondarono la società dopo avere costruito il loro primo personal computer nel garage situato al numero civico 2066 di Crist drive a Los Altos, nella Silicon Valley. I fanatici dell’informatica ancora venerano il luogo, ma per Jobs fu solo l’inizio: nessuno ha cambiato la storia della tecnologia e il nostro modo di vivere tante volte quanto lui. Jobs ha ripetuto l’impresa nel 1984 con il lancio del Macintosh, primo computer basato su un sistema di icone che è diventato lingua universale. E poi ancora nel 1995, data di uscita di Toy story, il primo film completamente digitale.
E di nuovo nel 2001 con l’iPod, di cui si vendono 100 esemplari al minuto, tutti cavalli di Troia con i quali si insinua in milioni di case il futuro. Grazie a questi successi Jobs ora è ricchissimo, con un patrimonio stimato tra 4 e 5 miliardi di dollari. Ma i suoi valori sono ancora quelli della controcultura hippie degli anni Sessanta, quando il giovane Steve per sopravvivere doveva andare a mangiare al vicino tempio degli hare krishna. Da allora buddista, e vegetariano, veste sempre con i blue-jeans e il dolcevita nero che usava quando costruendo l’Apple I si distraeva suonando canzoni di Bob Dylan alla chitarra. Fu per amore di Dylan che Jobs corteggiò Joan Baez, ex fidanzata del cantante, solo per poi abbandonarla: «È troppo vecchia per darmi figli» disse Jobs, che di figli ne ha quattro. Anche Baez era imperfetta come la maggior parte della gente, da cui Jobs si isola in tutti i modi: «Io non voglio essere qui, io non posso sopportare tanta stupidità» ammette ai pochi giornalisti che ottengono di intervistarlo, solo per vederlo troncare la conversazione e andarsene.
Quanto antisociale sia Jobs lo racconta anche Mona Simpson, la scrittrice che ha scoperto di essere sua sorella biologica solo qualche anno fa (nato da genitori di origine siriana, Jobs venne adottato quando era piccolo). Al suo nuovo fratello Simpson ha dedicato un romanzo, Un ragazzo regolare, che inizia così: «Era un uomo troppo occupato per tirare lo sciaquone. Non credeva nei deodoranti e spesso teorizzava che con una dieta adeguata avrebbe smesso di sudare». Jobs è convinto dei suoi metodi anche nella gestione dei collaboratori, che spesso umilia pubblicamente. Secondo lui è l’unico modo per raggiungere la perfezione.
Dopo averlo considerato da sempre marginale (dopotutto i computer Apple hanno solo il 4 per cento del mercato) l’America ora guarda a Jobs come al re dei media digitali. Mentre grandi gruppi tradizionali come Aol-Time Warner sembrano avere perso la rotta, Jobs ha posizionato la Apple al centro delle tendenze che domineranno per anni l’entertainment: insieme all’80 per cento di tutta la musica digitale legale, su iTunes si possono comprare gli episodi di programmi tv come Desperate Housewives e Lost, premonizione di un domani in cui la televisione si potrà vedere quando e dove si vorrà.
Ma soprattutto, mentre Rupert Murdoch e gli altri tycoon puntano sul possesso di film e programmi tv, Jobs titiene che a governare il domani sarà chi possiede la tecnologia più facile e divertente da usare. Ora c’è chi teme che un’azienda gigantesca come la Disney, di cui Jobs è diventato il maggiore azionista dopo la vendita della Pixar, renderà anche il fondatore della Apple più conformista. Ma chi lo dice non ha capito che l’unica vera paura di Steve Jobs è diventare un miliardario tecnologico qualsiasi, uno come Bill Gates.
Per non finire in quella trappola Jobs ha sempre fatto a modo suo. Mentre la Microsoft diventava un gigante distribuendo il proprio sistema operativo a tutti i produttori di computer, Jobs decideva di limitare la crescita della Apple pur di produrre in proprio sia l’hardware sia il sistema operativo: «Avere il controllo di tutto è l’unico modo di assicurare la qualità del prodotto» afferma Jobs, ora che i risultati gli danno ragione. Quando nel 1997 tornò alla Apple (da cui era stato estromesso per i suoi comportamenti considerati infantili) l’azienda era vicina alla bancarotta. Ora a Wall Street vale 62 miliardi, quanto la Dell, il gigante dell’informatica.
Il primo film che si può acquistare sul sito iTunes, per 9,99 dollari, è High school musical della Disney. Bob Iger, amministratore delegato della Disney, a differenza del suo predecessore Michael Eisner è un innovatore che come Jobs vorrebbe distribuire i film in forma digitale in contemporanea all’uscita sul dvd. Ma altri studios preferiscono l’idea del noleggio a quella dell’acquisto, e non solo per paura della pirateria. I produttori di Hollywood infatti temono di finire come i discografici, i cui fatturati stagnano sebbene la vendita legale di musica digitale abbia superato nel 2005 il miliardo di dollari, contro i 380 milioni dell’anno precedente.
Loro faticano, mentre la Apple prospera: circa il 10 per cento dell’intero mercato discografico ormai transita da iTunes. A rendere più difficile il predominio nel cinema della Apple è anche la concorrenza, che si fa sempre più agguerrita. Mentre anche la Microsoft pensa a lanciare un lettore mp3, il mercato è invaso da nuovi modelli di lettore digitale, come quelli appena introdotti da Samsung e SanDisk. E a distribuire video si sono lanciati anche Google e Amazon, che a sua volta sta negoziando accordi con i produttori di Hollywood.
Jobs è abituato anche ai fallimenti e ha imparato come nasconderli: quando ha capito che il telefono Rockr non sarebbe stato un successo, per esempio, ha lanciato nello stesso giorno l’iPod nano senza dire niente ai dirigenti della Motorola. Anche perché il vero telefono Apple, soprannominato iPhone, pare stia per arrivare: l’azienda ha già brevettato il nome, Mobile me. Sopravvissuto a una rara forma di tumore, Jobs ormai ha capito che può puntare solo sui prodotti di cui è completamente soddisfatto. Lo ha detto in un discorso agli studenti dell’Università di Stanford: «Il tempo che avete a disposizione è limitato, non perdetelo vivendo la vita di altri».
[da panorama del 27 marzo 2006]

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