Mucca Pazza, nuovo caso in Italia

Categoria : Mucca Pazza & Co.

Risposte : Nessun commento

Nuovo caso di morte per mucca pazza, ovvero la variante umana (morbo di Creutzfeldt-Jakob) della encefalopatia spongiforme bovina . L’autopsia della donna deceduta a Livorno verrà eseguita oggi, ma la causa della malattia è già nota da tempo. Si tratta di una proteina, veicolata dalle farine animali, che altera il sistema nervoso. Un salto da una specie all’altra che genera malattie tutte considerate nella famiglia dell’encefalite spongiforme.La variante bovina è stata individuata molto di recente, almeno rispetto alla simile malattia che colpisce ovini e caprini (Scrapie). Quest’ultima, per i suoi effetti conosciuta da quasi tre secoli, ancora persiste come nel caso dei due animali recentemente individuati in un allevamento di Albenga, in Liguria. La Scrapie, a quanto pare, non è trasmissibile all’uomo ma, secondo alcuni autori, è stata proprio la malattia delle pecore ad essere veicolata nei bovini grazie alle farine di carne ovina, prodotte a bassa temperatura e date da mangiare ai bovini (…erbivori). Allora, sul finire degli anni ottanta, furono additati alcuni impianti scozzesi la cui farine vennero abbondantemente esportate anche in Italia. Scatenarono anche polemiche al vetriolo tra la Dirigenza della Sanità Veterinaria nazionale e quella di Palermo che sostanzialmente accusò la Dirigenza nazionale di avere interpretato diversamente la reale possibilità di sanzionare l’eventuale utilizzo di farine animali.

Ad ogni modo sulla mucca pazza adesso si conosce parecchio. Per questo, con l’intento di tranquillizzare, le autorità sanitarie di Livorno ricordano ora come la malattia nell’uomo (oltre a non essere contagiosa) presenta lunghi periodi di incubazione, anche di dieci anni. In altri termini siccome ora siamo sicuri che gli allevamenti sono in regola, il rischio di ammalarsi vale solo per chi si è abbuffato da non oltre dieci anni. Viene però da chiedersi a quale paese si riferissero le autorità di Livorno. Questo perché se non infarinando, da nord a sud i pasticci continuano a sfornarsi.

Lo scorso novembre sul quotidiano La Padania, un articolo di Stefania Piazzo riferiva di un allarmante rapporto del Ministero della Salute sulla sanità veterinaria della regione Campania (vedi articolo GeaPress). Più che con qualche difficoltà a lavorare, sembrava quasi che questo settore, in Campania, abbia qualche difficoltà ad esistere. Cosa è successo da allora? Niente. Anzi la stessa giornalista ebbe a dire, in un successivo articolo del 5 dicembre, che dopo la sua inchiesta una sorta di comitato di colletti bianchi, probabilmente collocato poco più a nord della Campania, ebbe a riunirsi per decidere come reagire alla giornalista rompi assetti. Colpì quella volta anche il silenzio delle associazioni professionali, fosse solo perché alcuni loro aderenti, da quelle parti, erano stati pesantemente minacciati. Ad ogni modo lasciamo perdere e supponiamo che in Italia, non esiste il problema di contaminazione da criminalità organizzata.

A tranquillizzare, dopo il caso di Livorno, interviene anche la Coldiretti, la quale ricorda come, “nei bovini la malattia della mucca pazza e’ ormai quasi completamente debellata“. Lo dimostrano “i numeri forniti dalla Commissione Ue: nell’Unione Europea dai 37.000 animali ammalati del 1992 si e’ passati, nel 2009 a soli 67, dei quali appena due casi in Italia su oltre 450mila test effettuati. Occorre evitare che inutili allarmismi si riflettano sui consumi di carne bovina, i cui consumi familiari sono di circa 23 chili per famiglia acquirente“.

I dati sono della Commissione Europea e pertanto la Coldiretti bene fa a ricordarli. E’ giusto, però, parlare di inutili allarmismi? Un allarmismo sa già di cosa inutile. Perché sottolinearlo con la sua inutilità?

La stessa Coldiretti, nel luglio di questo anno, ricordava anche che “dal 1 gennaio 2002, di un sistema obbligatorio di etichettatura che consente di conoscere l’origine della carne acquistata con riferimento agli Stati di nascita, di ingrasso, di macellazione e di sezionamento, nonché un codice di identificazione che rappresenta una vera e propria carta d’identità del bestiame e consente di fare acquisti Made in Italy”. Inoltre “un calo dell’attenzione per quanto riguarda le importazioni di carne proveniente da Paesi in passato considerati a rischio per il mancato soddisfacimento dei requisiti sanitari come il Brasile“. Possiamo allarmarci allora dalle notizie che provengono dai litigi interni alla più grande holding della carne al mondo (vedi articolo GeaPress)? Tra l’italica Cremonini e la brasiliana JBS SA, teoricamente soci in affari, succede infatti un patatrac. Addirittura dal loro Consiglio di amministrazione salta fuori che potrebbe essere stato commesso qualche erroruccio proprio sulla certificazione di provenienza della carne. Della cosa se ne era occupata anche la trasmissione di Milena Gabanelli, Report. Il fatto è che era stato scoperto l’inghippo (scoperto da Report) anni prima. C’è voluta, ora, l’insostenibilità di un matrimonio difficile tra mega macellerie che diffondono nel mondo fettine ed hamburger, a fargli dichiarare di andare alla Procura della Repubblica?

Sempre la Coldiretti ora sottolinea l’esistente “divieto dell’uso delle farine animali nell’alimentazione del bestiame e l’eliminazione degli organi a rischio Bse dalla catena alimentare“. E’ vero, ma sempre nel luglio 2010, la Coldiretti comunicava come “tra le diverse Istituzioni comunitarie, si ipotizza la fissazione di una soglia di tolleranza minima per la presenza di farine animali nei mangimi destinati anche agli animali ruminanti da fattoria con la revoca del principio di tolleranza zero“. Cosa significa? Ritorneranno le farine magari perché le temperature alle quali si polverizzano capre e bovini da dare da mangiare a loro stessi, sono state alzate ed il prione (ovvero la proteina imputata del pasticcio) dovrebbe distruggersi? E chi si fida se una industria in crisi economica, abbassa la temperatura di produzione e, così facendo, anche i consumi energetici? Giova appena ricordare che la produzione di farine animali a bassa temperatura fu dettata, proprio in Scozia, da esigenze di risparmio energetico.

In ultimo, sempre la Coldiretti, e sempre nel luglio di quest’anno, scriveva anche a proposito dei programmi di sorveglianza dei bovini. Ci potrebbe essere un “aumento graduale dei limiti di età per i test della BSE (nel 2009 è stato innalzato da 30 a 48 mesi per gli Stati membri che hanno dimostrato un miglioramento della situazione BSE nel proprio territorio)“. Cosa significa anche questo? Non è perché il costoso test, fino ad oggi in Italia eseguito a trenta mesi (e quelli che vengono macellati prima?) dovrebbe addirittura essere eseguito su animali di quattro anni? La Coldiretti questa estate aggiungeva, pure, che erano stati previsti alleggerimenti per “l’abbattimento di corti bovine nelle quali si è riscontrato un caso positivo di BSE: viene suggerita l’idea di trovare soluzioni alternative alla politica di abbattimento sistematico praticata attualmente“. Su questo aspetto ci piacerebbero due cose. Il primo sul fatto che i bovini compagni di allevamento di uno malato, finissero la loro esistenza con calma in un bel prato, il più grande possibile. Ma sappiamo però costare troppo, ancorché di loro nulla se ne farà. La seconda cosa che ci piacerebbe sapere è però se il costoso incenerimento abbia un po’ influito sulla fine da far fare ai bovini magari sani sebbene solo compagni di quello malato.

Stiamo attenti, le comunicazione di questa estate della Coldiretti sui possibili alleggerimenti diffusi non solo erano riferiti a quei paesi che hanno posto in essere dei controlli validi (compresa l’Italia?) ma erano anche riportati quasi con il tono della denuncia sebbene, forse, un po’ troppo riferita alla possibilità che gli alleggerimenti avvenissero “anche sulle importazioni da Paesi considerati a rischio sanitario“. Ad ogni modo c’è chi giura che dopo il caso di Livorno questi alleggerimenti finiranno per un po’ nel dimenticatoio.

Questioni difficili da digerire, anzi, per una persona che di carne non si nutre, ancor di più. Riesce però ancor più difficile da capire perché di queste cose si debba comunicare, a gennaio 2011 come nel luglio 2010, in coincidenza con le notizie di cronaca sulla grave malattia che aveva colpito la donna di Livorno. Perché, allora, dobbiamo stare tranquilli?

[geapress.org – giovanni guadagna – 7 gennaio 2011]

Aggiungi il tuo commento