McDonald's, la crisi peggiora

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Saranno state le cause intentate dai ciccioni americani, le campagne dei no global contro i modelli Usa e getta, i risarcimenti miliardari per gli oli bovini propinati agli Indù?
O invece è colpa dell’11 settembre, della rivolta dei licenziatari strozzati dai debiti, di mucca pazza e afta epizootica, della paura di essere colpiti dal terrorismo in un territorio che, si trovi in Asia o in Europa, si presenta in ogni caso come «yankee»?
Fatto sta che McDonald’s continua a perdere colpi, l’arco dorato vacilla trafitto da innumerevoli frecce, e per il momento la rotta – nonostante i numerosi tentativi di restyling – non si inverte affatto. Gli ultimi dati sulle vendite parlano di un tracollo che non si arresta ormai da 13 mesi: -4,4% in febbraio sui same-stores, gli esercizi aperti con continuità da almeno un anno. Dove porterà la crisi?
D’altra parte, il mercato sembra per il momento saturo, se è vero che le peggiori performances sono state registrate nei paesi a più bassa densità di presenza dei locali: -7,5% in Asia, Pacifico, Africa e Medio Oriente, mentre nella old Europa – almeno per questo gli Usa ci ameranno – zio Mac tiene di più, perdendo «solo» il 3,9%. Né – si deve dire – se la passano meglio altri big dell’hamburger come Burger King, ugualmente in crisi. Ma niente di paragonabile alla bufera che attraversa gli archi dorati: negli ultimi 10 mesi il titolo McDonald’s ha perso a Wall Street oltre il 60% del suo valore, mentre da ottobre 2000 la perdita ammonta addirittura al 75%. E ieri, sulla scia dei dati delle vendite, la multinazionale ha lasciato sul campo ulteriori 1,36 dollari, attestandosi a 12,3.
In parte si consuma la crisi di un modello culturale, quello del fast food, che in Europa si traduce nel ritorno ai cibi sani, alla lettura attenta delle etichette, al bio e all’equo, sempre più alla portata dei clienti meno facoltosi. Ma anche, forse, a causa della crisi irachena si sono incrinati pure a tavola i rapporti con l’altra parte dell’oceano: gli europei non avranno attaccato tutto ciò che è americano già all’indomani dei primi dissapori – come invece fanno a tamburo battente giornali e tv Usa, in una propaganda principalmente antifrancese che rasenta spesso il ridicolo – ma di certo l’aria è cambiata e non ingoiamo più gli hamburger con la stessa spensieratezza di prima.
E se solo pochi mesi fa McDonald’s annunciava la chiusura di oltre 700 esercizi in tutto il mondo, in Italia si sono registrate nell’ultimo anno diverse chiusure, con relative perdite di posti di lavoro. «Non possiamo quantificare le chiusure – dice Gabriele Guglielmi, segreteria nazionale Filcams Cgil – Riguardano i licenziatari, e la Company non fornisce i dati. Per reagire, stanno lanciando diverse iniziative promozionali, in Europa come negli Stati Uniti: a New York, per esempio, regalano un’ora di Internet gratis a chi acquista i panini». Nuove strategie, ma anche nuove incognite. Infatti, se nel nostro paese, grazie alla diffusione del sindacato, la Company ha dovuto firmare un integrativo (per il momento non valido per i licenziatari), negli Usa invece dovrà vedersela probabilmente per la prima volta con le organizzazioni dei lavoratori: «McDonald’s ha deciso di inserirsi in contesti finora non esplorati, come le scuole e le istituzioni americane, dove si occuperà dei servizi mensa – spiega Guglielmi – Ma se nei ristoranti non contava neppure un iscritto, in questi luoghi c’è da scommettere che i sindacati la aspetteranno al varco».

[da Il Manifesto del 13 marzo 2003 – Antonio Sciotto]

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