Ode al fritto! (bè, quasi)

frittoNe parlavo in regia qualche giorno fa e mi è stato consigliato di renderlo pubblico.
Sì, nonostante la mia naturale tendenza al crudismo, io non demonizzo il fritto.
Credo che, se fatto a regola d’arte, sia fra i migliori metodi di cottura.
A meno che non siano presenti patologie epatiche o al pancreas, ovviamente.
Perché l’alimento fritto, nelle sue proprietà nutrizionali, è molto più vicino ad un alimento crudo. Infatti nel corso della frittura, se la temperatura dell’olio è mantenuta costante ed elevata, si evita l’imbibizione mediante la creazione immediata di una barriera lipidica, che da una parte ostacola la penetrazione del grasso e dall’altra preserva i nutrienti. Assieme alla cottura al vapore, la frittura rapida è tra i sistemi di cottura che limita la perdita di vitamina C. E che non deteriora gli omega 3.
La frittura stimola il fegato e lo aiuta a lavorare più velocemente, accelerando il metabolismo. Un recente studio pubblicato sul Journal of Medicinal Food (S.Farnetti et al, Food Fried in Extra-Virgin Olive Oil Improves Postprandial Insulin Response in Obese, Insulin-Resistant WomenJ Med Food 14 (1) 2011) dimostra che la cottura in olio riduce il carico glicemico degli alimenti, cioè la capacità di rilasciare zuccheri nel sangue. Durante la frittura delle patate, ad esempio, si formano amidi resistenti non assorbibili. Quindi, sempre se non utilizzata in modo frequente, la frittura aiuta pure a dimagrire.
Ovvio (ovvio?) che: l’olio extravergine d’oliva utilizzato dev’essere di ottima qualità; la temperatura massima non deve superare i 180 gradi centigradi; se l’olio fuma ed emette un odore acre va gettato; l’olio non dev’essere riutilizzato; i tempi di cottura devono essere rapidissimi per evitare la formazione di acrilamide.

Stefano Momentè

la foto è tratta da veggiechef.co.uk

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